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Ecco i nuovi cartografi del pensiero

Ultimo Aggiornamento: 22/06/2009 11:06
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Qualche volta capita di incontrare persone che seguono i tuoi stessi territori di caccia. Quando accade ti tornano in mente le parole che Ronald Everett Capps ha scritto in Una canzone per Bobby Long. «C’è un circolo segreto, sai. E i soci non sono tanti. Sono silenziosi, si annidano nell’oscurità, proprio davanti al tuo naso. Quando li vedi, è probabile che tu non li riconosca nemmeno. Non indossano abiti speciali. E li puoi trovare all’angolo di una strada tanto quanto in un bordello o in una biblioteca o in una chiesa o in un laboratorio. Molti sono in manicomio. Ce ne sono di tutte le stazze e razze, sessi e religioni. Sono quelli che sanno ascoltare ciò che gli occhi non possono vedere». Questa gente qui, di solito, non è famosa. Alcuni di loro però scrivono romanzi, saggi, qualche articolo e portano su, in superficie, qualcosa di quello che stanno cercando o un po’ di sabbia e sassi trovata qua e là. Non sai bene come definirli, forse assomigliano ai vecchi cartografi, quelli che disegnano mappe, non sempre precise, di territori inesplorati o ancora tutti da capire. In giro, negli ultimi tempi, ce ne sono un po’. Che fanno? Tracciano linee e confini, stanno provando a ridefinire la mappa del post Novecento, dopo che i muri sono caduti, le utopie sono precipitate a terra, in frantumi, con le ideologie sventrate, i sogni ripudiati, la storia interrotta, il sapere, quello del vecchio secolo, evaporato, dimenticato, sotterrato sotto lo shopping delle masse. I cartografi sono in viaggio nei nuovi villaggi di quelli che Baricco chiama barbari o mutanti. Arrivano da tutte le parti, i barbari. E saccheggiano, sventrano, le cittadelle della vecchia civiltà del Novecento. Baricco ha raccontato come hanno mutato il vino, i libri e il calcio. Poi ha concluso: magari a voi sembrano solo teppaglia ignorante, invece sono solo un’altra civiltà, sono i figli di una mutazione. Hanno le branchie. È capitato già altre volte, l’ultima quando il romanticismo ha messo in cantina l’illuminismo. Non bisogna averne paura. Non bisogna costruire una muraglia cinese intorno al vecchio secolo. È inutile e dannoso. L’unica cosa che si può fare è tracciare nuove mappe. Ecco, i cartografi servono a questo. I barbari non vengono dal nulla, alle spalle ci sono terre dove potrebbero mettere radici, classici che fanno per loro, filosofie ed estetiche minori da recuperare. Solo che loro non lo sanno. Basterebbe un viaggio al Louvre e incrociare la Natività di Fra’ Diamante, il più vicino collaboratore di Filippo Lippi, roba del XV secolo, per riconoscere in quel muro, con salamandra, la stessa estetica dei videogame. I barbari non sanno che la loro leggerezza e immaterialità è parente di tutte le corbellerie scritte da messer Ariosto. Astolfo e l’Ippogrifo sono i loro eroi. L’Orlando Furioso, dove Oriente e Occidente imparano a conoscersi, combattendo, è il classico perfetto per la loro biblioteca. Il problema è che i barbari non sanno narrare il passato. La velocità e il consumo istantaneo di una massa quasi infinita di notizie chiudono i mutanti nell’incantesimo dell’eterno presente. Questa è la tesi di Mario Perniola, uno dei filosofi italiani più attento alle mutazioni, autore del Sex appeal dell’inorganico, dove si ragiona sulla seduzione plastica di Barbie e delle sue conseguenze. Ora Perniola dice e scrive, in Miracoli e traumi della comunicazione (Einaudi), che la storia non è più percepita come qualcosa di razionale, una linea continua in cui si cerca di ritrovare l’origine degli eventi, ma con un spot, una frattura, qualcosa che arriva senza una narrazione coerente. La storia non si può più raccontare, ma è schiacciata sul presente. È dagli anni ’60, secondo lui, che eventi rivoluzionari vengono percepiti come un’epifania, una rivelazione improvvisa. È accaduto con il Maggio francese del ’68, la rivoluzione iraniana degli ayatollah, la caduta del Muro di Berlino e l’attacco alle Twin Towers di New York. La storia diventa solo una serie di traumi e la parola d’ordine è impossibile eppure reale. Questa storia fatta a pezzi, ridotta a miliardi e miliardi di spot, frammentata, non ha più bisogno di narratori. Non c’è più spazio per Omero e neppure per Tucidide. Non c’è più bisogno di un vecchio cieco che tramanda, ricreando particolari di generazioni in generazioni, l’origine del mutamento. Il mutamento infatti non c’è. E se non c’è mutamento, non c’è bisogno di storici. Tutto è fermo. Ed è la vittoria di Parmenide su Eraclito. Per i barbari il passato è una discarica di rovine, loro vanno, guardano, prendono quel che gli è utile e lo usano per costruirsi le loro case. Sono - sostiene Baricco - come quelli che tiravano su basiliche cristiane utilizzando le macerie di un tempio pagano. Le nuove chiese sono YouTube, Google, e le parole spese in piazza, nell’agorà di Facebook. È qui che la storia viene triturata, frammentata, spottizzata, ridotta a presente. È la poltiglia dei vecchi quotidiani, la vittoria del frame e del lancio d’agenzia, la narrazione riportata alla materia bruta, non lavorata. Non c’è più il manufatto. C’è il grezzo, che scade in fretta. Dove va a finire tutta l’informazione consumata su Google? Che fine faranno i video scaricati da YouTube? Cosa resterà di tutte le parole scambiate su Facebook? Spazzatura. Ed è lì che forse Omero potrà recuperare le storie. L’unica forma di narrazione possibile diventa il riciclaggio. Sono le notizie perdute «rifantasticate». Il narratore scava tra i frammenti e riscrive una trama, lega con un filo rosso i pezzi di informazione. Il resto è una fabbrica di scandalo, orrore e paura. È quello che racconta, da testimone spaesato, Antonio Scurati nel Bambino che sognava la fine del mondo. Scurati si ritrova a scrivere e a cercare di capire ciò che sta accadendo. A lui viene chiesto di spiegare «il fatto». Pedofilia, in una scuola e in un seminario. Ma in realtà il fatto non c’è, cosa sia accaduto veramente nella scuola e nel seminario non si sa. La pedofilia dunque non è certa, l’orrore non è certo. La paura invece sì. I barbari sentono. È questa la differenza. Percepiscono. Non c’è più il romanzo, ma l’impressione. Ed è come una macchia sul muro, l’ombra di una sensazione. Andy Warhol sosteneva che in America tutto nasce da uno stato d’animo. Ecco: ora il mondo è l’America. Ed è da lì che sono partiti i cartografi.
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=360531


buona lettura....soprattutto per gli appassionati,sempre alla ricerca di se stessi [SM=g1855874]
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21/06/2009 18:49
 
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che bello!

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Re:
harrypotter79, 21/06/2009 18.49:

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che bello!

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ti è venuta la febbre????


a me è venuto uno svarione nel leggerlo...miiii che pesante [SM=g1855882]

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