Profilo giuridico della HIV-positività

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NormaJ
00domenica 12 luglio 2009 12:49
stipula di polizze assicurarive, contratti bancari e contratti di lavoro. Domande e risposte. Autori Avv. Giovanna Cosenz e Avv. Laura Bellicini

INTRODUZIONE

Si intendono analizzare, in maniera pratica e sintetica e sotto un profilo prettamente giuridico: (a) i principali doveri/obblighi di dichiarazione, nei vari settori del mondo economico, del proprio stato di salute e, in particolare, del fatto di avere contratto il virus dell'immunodeficienza umana (HIV) o la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS); (b) i principali doveri/obblighi a carico dei soggetti del mondo economico (Compagnie di Assicurazioni, Banche, Datore di Lavoro, etc.) ricevono che si rendono destinatari delle predette dichiarazioni relative allo stato di salute dei propri utenti.

STIPULA DI POLIZZE ASSICURATIVE

La Compagnia di Assicurazioni può richiedere, al soggetto che intenda contrarre con essa una polizza assicurativa, tutte le informazioni che ritiene essere preliminari ed essenziali per la stipula della polizza medesima.
In altri termini, essendo le Compagnie Assicurative dei soggetti privati, alle stesse è consentito richiedere informazioni di carattere sanitario – anche sull’infezione da HIV – all’atto della stipulazione di contratti di assicurazione, in particolar modo quando si tratta di assicurazioni sanitarie o complementari, di assicurazioni sulla vita, di assicurazioni di indennità giornaliere (perdita del salario in caso di malattia) e nel settore non obbligatorio della previdenza professionale (casse pensioni).
Le Compagnie di Assicurazioni, infatti, per decidere se e a quali condizioni (con particolare riferimento all’importo del premio) concludere il contratto, assumono tutte le informazioni relative al rischio dal contraente, non essendo previsto a loro carico uno specifico dovere di svolgere indagini.
Pertanto, a carico dell’assicurato grava un obbligo di cooperazione, dovendo fornire all’Assicuratore tutte le informazioni necessarie per garantire un'esatta e completa conoscenza, da parte di quest’ultimo, delle circostanze determinanti del consenso (Cassazione, sentenza n. 3743/87).
Dal canto suo, la Compagnia di Assicurazioni non è tenuta a controllare la veridicità delle dichiarazioni rese dall’interessato, cosicché una sua eventuale indagine di fatto sulla situazione di rischio non esonera l’assicurato dall’obbligo suddetto (Cassazione, sentenza n. 4326/80).
Al riguardo, si fa presente che ogni Compagnia di Assicurazioni è solita adottare una propria prassi per richiedere le predette informazioni preliminari, alle quali condizionare la stipula e il contenuto della polizza assicurativa.
Pertanto, può accadere (ed è anzi, alquanto frequente) che la Compagnia di Assicurazioni - soprattutto quando si tratti di assicurazioni di carattere sanitario ovvero sulla vita - richieda all’interessato di sottoporsi al test HIV prima della stipula della polizza ovvero di produrre una certificazione medica attestante il proprio stato di salute o, ancora, un’autocertificazione nella quale dichiari, sotto la propria responsabilità, di non avere contratto specifiche infezioni (tra cui, l’AIDS).
Nonostante l’infezione da HIV sia diventata una malattia generalmente curabile e molte persone sieropositive sotto terapia godano di una speranza di vita normale, le Compagnie di Assicurazioni riservano ancora ai soggetti affetti da tale infezione un trattamento discriminatorio, rifiutando di stipulare con essi polizze assicurative sulla vita.
Anche la possibilità di stipulare polizze assicurative per le prestazioni sanitarie o complementari è spesso esclusa o limitata per chi è affetto dal virus dell’HIV e risultano altresì frequenti i casi in cui le Compagnie Assicurative escludano o accettino con riserva persone sieropositive nella copertura relativa alle assicurazioni di indennità giornaliera in caso di malattia per le aziende e nel settore non obbligatorio della previdenza professionale.
Nei contratti di assicurazione, inoltre, risulta spesso frequente la presenza di clausole mediante le quali l’assicurato si impegna ad informare la Compagnia di Assicurazioni in ordine alla contrazione di determinate malattie e infezioni (tra cui l’HIV/AIDS).
In questo caso, la Compagnia di Assicurazioni si riserva il diritto di recedere dal contratto di assicurazione nell’ipotesi in cui l’assicurato abbia taciuto la diagnosi «HIV positivo» all’atto della stipula della polizza assicurativa.
Alcune Compagnie di Assicurazioni si riservano, altresì, il diritto di recedere dal contratto, e quindi di far cessare l’assicurazione, nell’ipotesi in cui l’assicurato (che sia sano al momento della stipula della polizza) contragga l’HIV entro un determinato termine previsto nel contratto stesso (ad esempio, 2 anni dalla stipula della polizza).
Da ultimo, si precisa che l’attestazione di buona salute e la certezza che l’assicurato non abbia contratto l’HIV è sicuramente una condizione preliminare per la stipula di una polizza assicurativa specifica contro il rischio di contrarre l’infezione (rivolta soprattutto alle categorie a rischio, quali medici, infermieri, forze dell’ordine).
Pertanto, chi intende stipulare un contratto di assicurazione di tale genere, sarà tenuto a sottoporsi a un apposito test per dimostrare di non aver contratto l’HIV.

Domande frequenti / Risposte

a) E’ possibile, in sede di stipula di una polizza assicurativa, decidere di non rispondere alle domande relative al proprio stato di salute, affermando che si tratta di un dato sensibile protetto dalla legge?

Si, ma qualora si rifiuti di rispondere alle domande preliminari inerenti il proprio stato di salute poste dalla Compagnia Assicurativa, vi è il fondato rischio che quest’ultima rifiuti di contrarre la polizza assicurativa (soprattutto qualora si tratti di un’assicurazione sanitaria o di un’assicurazione sulla vita).

b) Quali potrebbero essere le conseguenze relative ad eventuali dichiarazioni non veritiere, in sede di stipula della polizza assicurativa, in ordine al proprio stato di salute?

In questo caso la polizza è trattata alla stregua di un contratto annullabile, in quanto è stato dolosamente nascosto uno dei requisiti probabilmente essenziali, per l’altra parte, per la stipula del contratto (ossia, lo stato di buona salute).
Al riguardo, l’art. 1892 del codice civile (“Dichiarazioni inesatte e reticenze con dolo o colpa grave”) prevede infatti che:
“Le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente, relative a circostanze tali che l'assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose, sono causa di annullamento del contratto quando il contraente ha agito con dolo o con colpa grave.
L'assicuratore decade dal diritto d'impugnare il contratto se, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza della dichiarazione o la reticenza, non dichiara al contraente di volere esercitare l'impugnazione.
L'assicuratore ha diritto ai premi relativi al periodo di assicurazione in corso al momento in cui ha domandato l'annullamento e, in ogni caso, al premio convenuto per il primo anno. Se il sinistro si verifica prima che sia decorso il termine indicato dal comma precedente, egli non è tenuto a pagare la somma assicurata”.
In altri termini, l’annullamento comminato dal legislatore per le dichiarazioni inesatte e reticenti rese con dolo o colpa grave trova applicazione quando le dichiarazioni rese al momento della stipula del contratto impediscono all'Assicuratore di valutare le circostanze influenti sul verificarsi dell'evento dannoso assicurato, aumentandone o riducendone l’alea, con conseguente riflesso sul consenso dell'Assicuratore o sulle condizioni contrattuali (Cassazione, sentenza n. 10292/01).
L’ipotesi prevista dalla norma in esame richiede che venga proposta dalla Compagnia di Assicurazioni apposita domanda d'annullamento (Cassazione, sentenza n. 8139/01). In tal caso, l'Assicuratore ha l'onere di provare che il contraente ha reso dichiarazioni inesatte o reticenti con dolo o colpa grave, mentre è compito del Giudice valutare l’incidenza delle circostanze taciute sulla prestazione del consenso (Cassazione, sentenza n. 6039/97; v. pure Cassazione, sentenza n. 7456/90).
A sua volta, l’assicurato può evitare l’annullamento del contratto qualora riesca a provare, con ogni mezzo, che all’Assicuratore era nota la circostanza contestata, poiché - secondo la dottrina dominante - se la dichiarazione inesatta o reticente riguarda circostanze in qualunque modo conosciute dall’Assicuratore non ricorrono i presupposti per l'annullamento del contratto assicurativo.
In ordine all'azione di annullamento, oltre al termine di prescrizione di cinque anni, il legislatore ha previsto un termine di decadenza di tre mesi (dal giorno in cui l’Assicuratore ha avuto notizia dell'inesattezza o della reticenza), per la relativa comunicazione all'assicurato.
L’Assicuratore, quindi, non potrà continuare a percepire i premi riservandosi di eccepire l’annullamento al momento in cui gli verrà richiesto il pagamento dell'indennizzo, al verificarsi del sinistro.
Se invece il sinistro si verifica prima che siano decorsi i tre mesi, o coincida col momento della conoscenza, l'Assicuratore non è tenuto ad avvisare l'assicurato e può ritenersi svincolato dall'obbligo di pagare l'indennità.
Al riguardo, si rileva che l’art. 1892 cod. civ., sopra esaminato, non si applica alle assicurazioni fideiussorie (art. 1882 cod. civ.) che, pur presentando caratteri propri del rapporto assicurativo, restano assoggettate alla disciplina propria delle fideiussioni (Cassazione, sentenza n. 11038/91) e neppure alle assicurazioni sociali, che si fondano esclusivamente sul presupposto legale dell’esistenza del rapporto di lavoro e sono disciplinate senza attribuire alcun rilievo alla volontà dei soggetti (Cassazione, sentenza n. 7562/83).

c) Cosa si intende per inesattezza o reticenza, in presenza delle quali la Compagnia di Assicurazioni è legittimata a richiedere l’annullamento della polizza assicurativa?

I presupposti necessari affinché - in caso di dichiarazioni non veritiere rese in sede di stipula della polizza assicurativa e inerenti il proprio stato di salute - la Compagnia di Assicurazione possa ottenere l’annullamento del contratto di assicurazione sono i seguenti: l'inesattezza o la reticenza nelle dichiarazioni rese dall'assicurato; l'essenzialità delle dichiarazioni stesse in ordine alla formazione del consenso dell'Assicuratore; il dolo o la colpa grave dell’assicurato (Cassazione, sentenza n. 2740/02; Cassazione, sentenza n. 5770/98).
L’inesattezza può riferirsi sia a singoli elementi del rischio che al rischio complessivamente considerato.
La reticenza è l'intenzionale o la cosciente omissione di dati relativi alla rappresentazione del rischio, ad esempio quando vi è stato occultamento (sia volontario che involontario, purché derivante da colpa grave) di informazioni decisive per la determinazione dell'Assicuratore a contrattare (Cassazione, sentenza n. 2396/89).
Le dichiarazioni inesatte o reticenti, per essere causa di annullamento del contratto, dovrebbero inoltre alterare il "vero stato delle cose", cioè tutte le circostanze rilevanti per dare un giudizio sul rischio, e in particolare quelle da cui si può dedurre l’intensità del medesimo e che siano utili per rappresentare, al momento della conclusione del contratto stesso, quello che sarà il rischio per la durata di quest’ultimo.
Il contratto di assicurazione, tuttavia, non può essere annullato qualora il fatto oggetto di dichiarazione inesatta o reticente era conosciuto dall’Assicuratore o questi avrebbe dovuto conoscerlo al momento della conclusione del contratto (Cassazione, sentenza n. 15939/00; Cassazione, sentenza n. 7697/91).

d) Cosa si intende per dolo o colpa grave, in presenza dei quali la Compagnia di Assicurazioni è legittimata a richiedere l’annullamento della polizza assicurativa?

Il dolo e la colpa grave costituiscono sempre i presupposti dell’annullamento contrattuale ma non ricorrono necessariamente ogniqualvolta che si mente.
In particolare, il dolo è presente ogni volta che il contraente, mentendo, abbia voluto intenzionalmente nascondere il vero stato delle cose.
Affinché sussista l’elemento soggettivo del dolo, sono sufficienti la coscienza e la volontà di rendere dichiarazioni inesatte o reticenti (Cassazione, sentenza n. 4682/99), nonché la consapevolezza del loro valore determinante sul consenso dell'altra parte. Ciò ricorre, ad esempio, ogni qualvolta l’Assicuratore abbia fornito un questionario all’altra parte e abbia espressamente richiamato l'attenzione dell'assicurato su quella determinata circostanza (Cassazione, sentenza n. 2815/99).
Sussiste, invece, l’elemento soggettivo della colpa grave, ogni volta che il contraente sia inesatto o reticente nel rispondere a quelle domande previste dal questionario che, secondo l'ordinaria diligenza, potrebbero valutarsi essenziali ai fini della determinazione del rischio.

e) Quali potrebbero essere le conseguenze relative ad eventuali dichiarazioni non veritiere, in sede di stipula della polizza assicurativa, in ordine al proprio stato di salute, rese tuttavia in assenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave?

Le dichiarazioni inesatte o reticenti sono rese dal contraente in assenza di dolo o colpa grave quando costui ignora il rischio reale o lo valuta erroneamente, senza colpa, diversamente dalla realtà.
L'Assicuratore, in questo caso, ai sensi dell’art. 1893 del codice civile, non può chiedere l'annullamento del contratto, ma ha il diritto di recedere da quest’ultimo con una dichiarazione inviata all’assicurato.
Spetta all'Assicuratore provare che le circostanze taciute o inesattamente dichiarate dall’assicurato sono state rilevanti nella conclusione del contratto, mentre è a carico dell'assicurato provare che l'Assicuratore era eventualmente a conoscenza della reale situazione del soggetto assicurato (Cassazione, sentenza n. 15939/00).
In tale ultimo caso, l’Assicuratore ha comunque ugualmente diritto ai premi scaduti e a quelli in corso; qualora, invece, il sinistro si sia già verificato, è prevista una riduzione proporzionale della somma dovuta.

f) E’ possibile stipulare l’assicurazione per un’altra persona?

Il contratto di assicurazione può essere anche stipulato in nome e per conto di un’altra persona (il terzo), ma, in questo caso, può accadere molto facilmente che il contraente - avendo ricevuto da parte dell'interessato informazioni inesatte o incomplete - nel rendere le relative (inesatte o incomplete) dichiarazioni sia in totale buona fede.
Per evitare che l’Assicuratore e la persona che stipula il contratto per conto del terzo siano danneggiati dal comportamento scorretto di quest’ultimo, l’art. 1894 del codice civile prevede espressamente che:
“Nelle assicurazioni in nome o per conto di terzi, se questi hanno conoscenza dell'inesattezza delle dichiarazioni o delle reticenze relative al rischio, si applicano a favore dell'assicuratore le disposizioni degli articoli 1892 e 1893”.
Il comportamento che si dovrà valutare ai fini dell’individuazione dei rimedi esperibili dall’Assicuratore sarà pertanto quello del terzo e non di colui il quale ha materialmente stipulato la polizza assicurativa.
La predetta disciplina non si applica nel caso in cui il contratto assicurativo sia stato concluso all'insaputa dell'assicurato o se questo non abbia potuto avvertire in tempo l'Assicuratore.
In caso di contratto stipulato in nome del terzo, la previsione di cui all'art. 1894 del codice civile va quindi ad integrare l'art. 1391 del codice civile che, in ordine agli stati soggettivi dello stipulante, fa riferimento non al rappresentante ma al rappresentato.
Nel caso di assicurazione sulla vita di un terzo, le eventuali dichiarazioni inesatte o reticenti rese dal terzo in ordine alle circostanze valutative sul rischio dell’assicurazione consentono il ricorso dell'Assicuratore ai rimedi di cui agli artt. 1892 e 1893 cod. civ. sopra citati (ossia, all’annullamento e al recesso contrattuale) solo nel caso in cui il contraente ne sia a conoscenza o qualora, con patto espresso, le parti abbiano stabilito che il consenso dell'Assicuratore è basato anche sulla veridicità delle dichiarazioni del terzo (Cassazione, sentenza n. 1779/77).

g) Cosa succede se, successivamente alla stipula della polizza assicurativa, l’assicurato contrae l’HIV e non lo comunica alla Compagnia di Assicurazioni?

Dipende dal contenuto delle clausole del contratto di assicurazione che è stato sottoscritto tra le parti.
Nell’ipotesi in cui, ad esempio, la polizza preveda un obbligo, a carico dell’assicurato, di comunicare alla Compagnia di Assicurazioni di aver contratto l’infezione, l’eventuale condotta omissiva dell’assicurato si sostanzia in un inadempimento contrattuale giustificante il recesso della Compagnia stessa e l’eventuale richiesta di quest’ultima del risarcimento dei danni subiti a causa del citato inadempimento.
A tal proposito, l’art. 1898 del codice civile prevede infatti che:
“Il contraente ha l'obbligo di dare immediato avviso all'assicuratore dei mutamenti che aggravano il rischio in modo tale che, se il nuovo stato di cose fosse esistito e fosse stato conosciuto dall'assicuratore al momento della conclusione del contratto, l'assicuratore non avrebbe consentito l'assicurazione o l'avrebbe consentita per un premio più elevato.
L'assicuratore può recedere dal contratto, dandone comunicazione per iscritto all'assicurato entro un mese dal giorno in cui ha ricevuto l'avviso o ha avuto in altro modo conoscenza dell'aggravamento del rischio.
Il recesso dell'assicuratore ha effetto immediato se l'aggravamento è tale che l'assicuratore non avrebbe consentito l'assicurazione; ha effetto dopo quindici giorni, se l'aggravamento del rischio è tale che per l'assicurazione sarebbe stato richiesto un premio maggiore.
Spettano all'assicuratore i premi relativi al periodo di assicurazione in corso al momento in cui è comunicata la dichiarazione di recesso.
Se il sinistro si verifica prima che siano trascorsi i termini per la comunicazione e per l'efficacia del recesso, l'assicuratore non risponde qualora l'aggravamento del rischio sia tale che egli non avrebbe consentito l'assicurazione se il nuovo stato di cose fosse esistito al momento del contratto; altrimenti, la somma dovuta è ridotta, tenuto conto del rapporto tra il premio stabilito nel contratto e quello che sarebbe stato fissato se il maggiore rischio fosse esistito al tempo del contratto stesso”.
Ai sensi della norma sopra richiamata, quindi, il mutamento delle circostanze è rilevante, ai fini della comunicazione, solo se è tale per cui, se fosse esistito o se fosse stato conosciuto al momento della conclusione del contratto, l'Assicuratore non avrebbe prestato il suo consenso o lo avrebbe prestato per un premio più elevato.
Nel definire l'aggravamento del rischio rilevante, la dottrina prevalente ha affermato che esso sussiste anche nel caso di un mutamento non definitivo delle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto, mentre la giurisprudenza formatasi sul punto ha sostenuto l'irrilevanza di un mutamento episodico e transitorio (Cassazione, sentenza n. 500/00) e ha specificato che il mutamento:
(i) non doveva essere prevedibile al momento della conclusione del contratto;
(ii) deve essere stato tale da alterare l'equilibrio tra il rischio ed il premio oltre la normale alea contrattuale (Cassazione, sentenza n. 3563/87; Cassazione, sentenza n. 2115/96).
Ai sensi dell'art. 1932 cod. civ., la norma in commento è derogabile solo in senso più favorevole per l'assicurato: questo, a livello pratico, vuol dire che il termine di un mese, entro cui l’Assicuratore può recedere dal contratto, può soltanto essere abbreviato, perché, diversamente, si prolungherebbe l'incertezza in ordine al mantenimento in vita del contratto stesso.
La giurisprudenza ritiene che, nel caso in cui la volontà di recedere sia manifestata successivamente allo scadere del predetto termine, il contratto assicurativo continua ad essere valido (Cassazione, sentenza n. 374/66) e inoltre che le parti possano stabilire, in sede di stipula della polizza, che, in relazione ad un determinato aggravamento del rischio, non venga meno il rapporto contrattuale, ma operi un adeguamento delle rispettive prestazioni (Cassazione, sentenza n. 2515/77).

h) Sono lecite le clausole dei contratti di assicurazione per rimborso spese sanitarie che escludono la copertura assicurativa per le persone affette da HIV e AIDS?

La giurisprudenza ha ritenuto non abusive, e quindi insindacabili, le clausole dei contratti di assicurazione per rimborso spese sanitarie escludenti le persone affette da HIV e AIDS (Trib. Roma, sentenza 8.5.1998 e 5.10.2000; App. Roma, sentenza 7.5.2002), sebbene i rischi assicurati non fossero necessariamente relativi alla patologia infettiva della persona ma del tutto eterogenei rispetto ad essa.

i) Quali sono gli obblighi della Compagnia di Assicurazioni alla quale l’assicurato ha comunicato le informazioni relative al proprio stato di salute (es. diagnosi «HIV positivo») all’atto della stipula della polizza assicurativa?

Anche le Compagnie di Assicurazioni sono tenute al rispetto delle norme contenute nel codice in materia di protezione dei dati personali di cui al Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
In ragione di quanto sopra, la Compagnia di Assicurazioni dovrà ottenere dall’interessato il consenso al trattamento dei propri dati personali e impegnarsi a non diffondere in alcun modo i dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute dell’interessato stesso.
I predetti dati sensibili, pertanto, potranno essere oggetto di trattamento, da parte della Compagnia di Assicurazioni, soltanto con il consenso scritto dell'interessato ed esclusivamente per le finalità per le quali sono stati raccolti, una volta acquisiti, dovranno essere custoditi e controllati in modo da ridurre al minimo, mediante l'adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita (anche accidentale) degli stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.
In caso di trattamento dei predetti dati in modo non conforme rispetto a quanto disposto dal citato Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, la Compagnia di Assicurazioni sarà tenuta al risarcimento dei danni eventualmente cagionati all’assicurato per effetto della propria illegittima condotta.
Inoltre il trattamento illecito dei dati, qualora effettuato al fine di trarne profitto o di recare ad altri un danno, costituisce un reato punito dall’art. 167 del citato D. Lgs. n. 196/2003 e sanzionato, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi.

STIPULA DI CONTRATTI BANCARI

In linea generale, gli Istituti bancari sono legittimati a richiedere al potenziale cliente tutte le informazioni preliminari che ritengono necessarie ed essenziali per la stipula dei diversi contratti bancari (mutui, aperture di credito, depositi bancari, anticipazioni di credito e quant’altro).
Come accade per le Compagnie di Assicurazioni, infatti, gli Istituti bancari, al fine di decidere se e a quali condizioni erogare i servizi bancari al potenziale cliente, sono tenuti ad assumere le occorrenti informazioni relative a quest’ultimo.
Ne consegue che, a carico del cliente grava un obbligo di cooperazione, dovendo fornire all’Istituto Bancario tutte le informazioni necessarie per garantire un'esatta e completa conoscenza delle circostanze determinanti del consenso per la conclusione del relativo contratto.
Tanto premesso in linea generale, occorre tuttavia rilevare che, in sede di stipula dei contratti bancari, gli Istituti richiedono esclusivamente informazioni (e garanzie) relative alle condizioni economiche, patrimoniali e reddituali del potenziale cliente ed alla solvibilità di quest’ultimo.
Ed invero, diversamente da quanto accade per il settore assicurativo (nel quale il fatto di non aver contratto il virus dell’HIV o l’AIDS potrebbe costituire, come già esposto al precedente n° 1, un requisito essenziale per la Compagnia di Assicurazioni nella stipula del contratto), gli Istituti bancari rilevano, quali requisiti essenziali per la conclusione dei relativi contratti, unicamente le informazioni, le garanzie e il materiale documentale attestanti le condizioni economiche, patrimoniali e reddituali, nonché la solvibilità del potenziale cliente e degli altri soggetti interessati (es. fideiussore).
In ragione di quanto sopra, si ritiene pertanto che non sussistano, a carico del potenziale cliente di un Istituto bancario, specifici obblighi di dichiarazione relativi al proprio stato di salute riferiti, in particolare, al fatto di avere contratto il virus dell’HIV o l’AIDS.

Domande frequenti / Risposte

a) Sussistono specifici obblighi di dichiarazione relativi al proprio stato di salute in sede di stipula di contratti bancari?

A differenza di quanto esposto nel precedente n° 1 con riferimento al comparto assicurativo (nel quale, la circostanza di non aver contratto l’HIV o l’AIDS potrebbe costituire un elemento decisivo per la determinazione dell'Assicuratore a stipulare la polizza), per gli Istituti bancari rilevano, quali elementi determinanti da valutare al fine della stipula dei relativi contratti, unicamente le informazioni, le garanzie e il materiale documentale attestante le condizioni economiche, patrimoniali e reddituali e la solvibilità del potenziale cliente e degli altri soggetti interessati (es. fideiussore).
Per tali motivi, è pertanto ragionevole ritenere che non sussistano, a carico del potenziale cliente di un Istituto di credito, specifici obblighi di dichiarazione relativi al proprio stato di salute.

b) Quali potrebbero essere le conseguenze, nell’ipotesi in cui un Istituto di credito richieda al potenziale cliente informazioni in ordine al proprio stato di salute e costui non dichiari di essere affetto dal virus dell’HIV o dall’AIDS?

Nella suddetta ipotesi (che si ritiene, in verità, alquanto remota), l’Istituto di credito potrebbe ottenere l’annullamento del contratto bancario e il risarcimento dell’eventuale danno subìto a causa delle dichiarazioni inesatte fornite dal cliente, soltanto qualora riesca a dimostrare che:
(i) il contraente ha reso tali dichiarazioni inesatte con dolo o colpa grave;
(ii) il valore delle predette dichiarazioni era determinante ai fini del consenso, da parte dell’Istituto di credito, per la stipula del contratto bancario.
A sua volta, spetterà al cliente l’onere di provare che l'Istituto di bancario era eventualmente a conoscenza della reale situazione relativa al proprio stato di salute.

c) Quali sono gli obblighi dell’Istituto di credito al quale il cliente abbia eventualmente rese note le informazioni relative al proprio stato di salute (es. diagnosi «HIV positivo») all’atto della stipula del contratto bancario?

In tal caso, al pari di quanto esposto con riferimento al settore assicurativo, gli Istituti bancari saranno tenute al rispetto delle norme contenute nel codice in materia di protezione dei dati personali di cui al Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
In ragione di quanto sopra, l’Istituto dovrà quindi ottenere dall’interessato il consenso al trattamento dei propri dati personali e impegnarsi a non diffondere in alcun modo i dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute dell’interessato stesso.
I predetti dati sensibili, pertanto, potranno essere oggetto di trattamento, da parte dell’Istituto bancario, soltanto con il consenso scritto dell'interessato ed esclusivamente per le finalità per le quali sono stati raccolti, e, una volta acquisiti, dovranno essere custoditi e controllati in modo da ridurre al minimo, mediante l'adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita (anche accidentale) degli stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.
In caso di trattamento dei predetti dati in modo non conforme rispetto a quanto disposto dal citato Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, l’Istituto sarà tenuto al risarcimento dei danni eventualmente cagionati all’assicurato per effetto della propria illegittima condotta.
Inoltre il trattamento illecito dei dati, qualora effettuato al fine di trarne profitto o di recare ad altri un danno, costituisce un reato punito dall’art. 167 del citato D. Lgs. n. 196/2003 e sanzionato, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, la reclusione da sei a ventiquattro mesi.

STIPULA DI CONTRATTI DI LAVORO

L’art. 6, comma 1, della legge 5 giugno 1990, n. 135 (“Divieti per i datori di lavoro”) vieta ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo svolgimento di indagini volte ad accertare, nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l'instaurazione di un rapporto di lavoro, l'esistenza di uno stato di sieropositività.
Tale norma è stata, tuttavia, dichiarata incostituzionale, nell’anno 1994, nella parte in cui non consente al datore di lavoro di eseguire il test dell’HIV, qualora le mansioni affidate al lavoratore comporterebbero un rischio di infezione per i terzi (Corte Costituzionale, sentenza n. 218/94).
Ed infatti, è stato ritenuto che la tutela della salute implica e comprende il dovere dell'individuo di non porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli altri.
Allo stato attuale, pertanto, il datore di lavoro è legittimato ad effettuare indagini in ordine all’eventuale sieropositività dei propri dipendenti e delle persone da assumere, nel solo caso in cui lo stato di salute di questi ultimi, in considerazione delle attività e servizi che essi sono chiamati a svolgere, possa comportare un rischio di infezione per i terzi.

Domande frequenti / Risposte

a) Cosa si intende per “attività lavorative comportanti rischi per la salute dei terzi”?

Il lavoratore si considera impiegato in un settore particolarmente rischioso quando - in considerazione delle attività e servizi che egli è chiamato a svolgere - possa, a causa della sua sieropositività, mettere a rischio lo stato di salute dei terzi con i quali viene in contatto.
L'esistenza di attività e servizi che comportano rischi per la salute dei terzi, derivanti dall'essere gli operatori addetti portatori di una malattia diffusiva quale l'AIDS, è stata riconosciuta dallo stesso legislatore, il quale:
all’art. 7 della succitata legge 135/1990 ha delegato il Ministro- della sanità ad emanare un decreto recante norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali, pubbliche e private ;
all’art. 15 del decreto legge 4 ottobre 1990 n. 276, convertito- con modifiche nella legge 30 novembre 1990 n. 359 (“Aumento dell'organico del personale appartenente alle Forze di polizia, disposizioni per lo snellimento delle procedure di assunzione e reclutamento e avvio di un piano di potenziamento delle sezioni di polizia giudiziaria”), ha dettato un’apposita disciplina di settore per il personale appartenente alle forze di polizia .
Da quanto sopra, consegue pertanto la necessità, a tutela del diritto alla salute (garantito, come noto, a livello costituzionale [cfr. art. 32 Cost.]), di accertare preventivamente l'assenza di sieropositività per verificare l'idoneità dall'espletamento dei servizi che comportano il succitato rischio.

b) Quali sono le possibili conseguenze nel caso in cui il lavoratore, che svolge un’attività lavorativa suscettibile di mettere a rischio di contagio altre persone, si rifiuti di ottemperare alla richiesta del datore di lavoro di sottoporsi al test sull’HIV?

In tal caso, trova applicazione la norma recata all’art. 2106 cod. civ. (“Sanzioni disciplinari”), la quale stabilisce che l’inosservanza, da parte del prestatore di lavoro, degli obblighi di cui all’art. 2104 cod. civ. (dovere di diligenza e di obbedienza) può dar luogo all’irrogazione di sanzioni disciplinari.
Le sanzioni disciplinari che il datore di lavoro può infliggere partono dal richiamo verbale, all’ammonizione scritta, alla multa, sino ad arrivare, nei casi più gravi, alla sospensione dall’attività lavorativa e al licenziamento disciplinare.
E’ evidente, al riguardo, che la sanzione datoriale irrogata dovrà essere proporzionata alla gravità dell’infrazione commessa e alla durata di quest’ultima.

c) Quali sono le possibili conseguenze nel caso in cui il datore di lavoro sottoponga un proprio dipendente al test sull’HIV, nonostante costui non svolga un’attività lavorativa suscettibile di mettere a rischio di contagio altre persone?

In tal caso, il datore di lavoro è penalmente sanzionabile per i reati di cui all’art. 5 della legge n. 300 del 1970 (che vieta gli accertamenti, da parte del datore di lavoro, sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente) e all’art. 6 della legge n. 135 del 1990 (secondo cui è vietato ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo svolgimento di indagini volte ad accertare nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l'instaurazione di un rapporto di lavoro l'esistenza di uno stato di sieropositività).
Le predette violazioni sono punite, ai sensi dell’art. 38 della legge n. 300 del 1970, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l'ammenda da Euro 154,93 a Euro 1.549,37 o con l'arresto da 15 giorni ad un anno; nei casi più gravi, le pene dell'arresto e dell'ammenda sono applicate congiuntamente.

d) Qual è la tutela predisposta dal legislatore per proteggere i dati idonei a rivelare lo stato di salute del lavoratore, ai quali possono essere ricondotte le informazioni scaturenti dagli accertamenti sanitari predisposti dal datore di lavoro?

I dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale sono collocati dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al Decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, fra quelli c.d. “sensibili”, come tali passibili di trattamento solo con il consenso scritto dell'interessato e previa autorizzazione dell'Autorità garante.
A questo riguardo, il Garante ha rilasciato successive autorizzazioni generali per il trattamento dei dati sensibili nel rapporto di lavoro, che esonerano i datori di lavoro dall'obbligo di presentare singole richieste al Garante, purché il trattamento dei dati rispetti i parametri stabiliti dal Garante medesimo e sia trattato con il consenso dell’interessato.
In generale, deve comunque ritenersi che:
a) qualora i dati personali del lavoratore, desumibili dagli accertamenti predisposti dal datore di lavoro nel rispetto del sopra citato art. 5 legge n. 300 del 1970 e idonei a rivelare lo stato di salute, attengano a fatti irrilevanti per la valutazione dell'attitudine professionale, il trattamento degli stessi sia vietato;
b) qualora invece, il trattamento dei predetti dati sia relativo a «fatti rilevanti» per la valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore, i dati a questi attinenti, in quanto sensibili, possono essere trattati solo previo consenso scritto dell'interessato e previa autorizzazione del Garante (anche generale).
Inoltre anche in questo caso il trattamento illecito dei dati, qualora effettuato al fine di trarne profitto o di recare ad altri un danno, costituisce un reato punito dall’art. 167 del citato D. Lgs. n. 196/2003 ed è sanzionato, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, la reclusione da sei a ventiquattro mesi.

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