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INTESA 15 marzo 2012
Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano e le Autonomie locali sul documento recante «Infezione da HIV e detenzione». (Rep. Atti n. 33/CU). (12A03687) (G.U. Serie Generale n. 77 del 31 marzo 2012)

Di seguito riportiamo alcune parti del provvedimento.

1. INTRODUZIONE

L'infezione da HIV e le infezioni virali croniche trasmesse per via parenterale o tramite rapporti sessuali non protetti, ad evoluzione potenzialmente cronica (HBV e HCV) risultano, da numerose segnalazioni, essere piu' frequenti nelle comunita' penitenziarie rispetto alla popolazione generale in tutti i Paesi del mondo occidentale.
Le persone che vengono a conoscenza per la prima volta della propria condizione di sieropositivita' per HIV in stato di detenzione, ovvero che, essendone a conoscenza, comunicano il proprio stato al personale sanitario in carcere, possono incontrare oggettive difficolta' derivanti dalle caratteristiche strutturali e organizzative delle
istituzioni penitenziarie, la cui finalizzazione prioritaria e' la custodia dei detenuti, degli internati e la garanzia della sicurezza sociale.

A esse si aggiungono trasferimenti improvvisi in altri istituti per motivi di giustizia, disciplinari o di sfollamento, che possono essere inoltre causa di interruzione di programmi assistenziali, di trattamento, terapeutici e la difficolta' nel mantenere la riservatezza sia sulle proprie condizioni di salute, sia sui normali atti della vita quotidiana.


Tutti questi elementi problematici sono intrinseci alla struttura penitenziaria e difficili da modificare e per questo motivo meritano un'attenzione particolare.
Per gli aspetti organizzativi sanitari, invece, restano importanti margini di miglioramento, conseguibili mediante interventi e disposizioni normative o regolamentari mirati
ed appositamente dimensionati alla realta' penitenziaria.
Il contesto in cui e' necessario prevedere interventi e' complesso se si considerano le caratteristiche della popolazione detenuta ed internata in cui sono sovra rappresentate persone con problemi comportamentali e sociali, quali i consumatori di sostanze stupefacenti (specie se per via iniettiva), gli alcolisti, i soggetti con patologie psichiatriche di diversa tipologia.

Circa il 30% della popolazione detenuta e' di origine straniera e portatrice di problematiche etniche spesso di difficile gestione.

Particolare complessita' puo' assumere inoltre la gestione delle problematiche associate alle malattie a trasmissione ematico-sessuale, correlate alle attivita' sessuali presenti nel contesto carcerario.
Molti dei detenuti risultano gia' affetti da patologie infettive al loro ingresso in carcere. Non puo' pero' essere sottovalutata la possibilita' che fattori, l'eccessivo affollamento, l'inadeguatezza delle strutture che si riflette sulla possibilita' di osservare correttamente le norme igienico sanitarie e la carenza di politiche sanitarie realmente efficaci, quali ad esempio quella della c.d. "riduzione del danno" per la Prevenzione delle Patologie Correlate all'uso di Sostanze Stupefacenti, possano favorire la diffusione delle infezioni all'interno degli Istituti penitenziari.
Nonostante l'emergenza AIDS abbia profondamente modificato l'organizzazione sanitaria penitenziaria nel corso degli ultimi venti anni le patologie virali croniche, le malattie infettive emergenti, riemergenti e d'importazione rappresentano tutt'ora problemi pressanti per la medicina di tutte le comunita' confinate ed in particolare di quelle penitenziarie.
E' necessario sottolineare, inoltre, come spesso nel paziente detenuto o, soprattutto, internato, possa sussistere una ridotta percezione della malattia, ovvero la negazione della stessa, con una ridotta accettazione delle procedure diagnostiche e terapeutiche che si rendessero necessarie.
Tale atteggiamento puo' talora essere ricondotto ad un meccanismo di difesa attivato dalla percezione di ostilita' suscitata dall'ambiente penitenziario, quale conseguenza della depressione indotta dalla condizione detentiva o indotta da fattori culturali ostativi.

Da tutto cio' consegue come la gestione clinica dei detenuti sieropositivi per HIV ed altre malattie infettive, risulti essere assai piu' complessa in ambiente carcerario rispetto a quanto avviene nella struttura sanitaria esterna al carcere.
Per rendere l'assistenza ai detenuti HIV positivi confrontabile con quella garantita in liberta', secondo il principio della pari opportunita' diagnostico-terapeutica, e' necessario pertanto che le Regioni e le ASL sviluppino programmi che contemplino la disponibilita' di personale sanitario competente, facilitino l'accesso ai farmaci antiretrovirali anche di ultima generazione o sperimentali, garantiscano l'accesso alle appropriate procedure diagnostiche.





2. CONTESTO EPIDEMIOLOGICO

L'entita' del problema presenta significative variazioni geografiche.
In America, Africa ed Europa la prevalenza dell'infezione da HIV e' compresa tra il 2% ed il 7%. Nell'est Europa ed in Asia sono segnalate prevalenze dal 2% al 50%.

I dati del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.), verosimilmente sottostimati per il basso tasso di esecuzione dei test HIV in carcere (29% al 30/06/2009) indicano che nei 207 Istituti per adulti del Sistema Penitenziario Italiano, sui 63.630 presenti alla stessa data, gli HIV positivi erano il 2% rispetto al 0.5% stimato nella popolazione generale.
Quando il tasso di esecuzione del test e' superiore all' 80%, come in uno studio del 2005, condotto sul 14.6% della popolazione detenuta nello stesso anno, la sieroprevalenza per
anti-HIV risulta del 7,5% e cioe' piu' del triplo del dato nazionale ufficiale relativo allo stesso periodo (2,2%). Sempre dai dati del D.A.P. emerge che i detenuti con diagnosi di AIDS sono aumentati dal 1,6% del 1990, aii'l 1,9% del 2001, per poi ridiscendere fino al 6,4% del 2009. i nuovi casi di AIDS notificati sono invece diminuiti da 280 (1993) a 66 (2006), con un rapporto stabile, intorno al 7-8%, rispetto ai sieropositivi noti

In Italia il numero dei detenuti che si sono sottoposti al test varia in modo considerevole nelle diverse Regioni e nei diversi Istituti.
Nel 2006 nelle regioni settentrionali risultava del 47.7%, nelle centrali del 24.1%, nel sud e nelle isole dei 32.0%. La regione con il tasso minore di test era l'Abruzzo con il 16.6%, mentre il Piemonte, con ii 74.4% , presentava la percentuale di attuazione del test piu' elevata. Le variazioni locali risultavano ancora piu' marcate, procedendo dal 5.5% di Palermo al 100% di Lecce.
Nello stesso anno la prevalenza nella popolazione straniera (che al dicembre consisteva in 13.931 detenuti), risultava del 3.9% su un totale di 62.0% sottoposti al test.

Gli studi epidemiologici sulla prevalenza dell'infezione da HIV nella popolazione detenuta femminile sono ancora molto limitati.
Dall'analisi dei' contesti epidemiologici di rilevazione dei dati patogenetici per l'infezione da HIV, HBV, HCV, MST, emergono fattori di rischio e comportamenti in parte differenti rispetto a quella maschile. L'uso iniettivo di sostanze stupefacenti e la tossicodipendenza sono un fattore di rischio indipendente sia per gli uomini sia per le donne, mentre la trasmissione per via sessuale e' il fattore prevalente nella popolazione femminile.

Va ancora sottolineato come l'elevata prevalenza della infezione da HIV dipenda dalle caratteristiche e rifletta la prevalenza dell'infezione negli stessi gruppi di popolazione al di fuori del carcere. A questo proposito, i correlati di infezione piu' comuni consistono nelle pratiche iniettive e sessuali e c'e' accordo fra gli esperti nel considerare l'elevata prevalenza di infezione da HIV nei diversi istituti penitenziari come espressione della diffusione di HIV nella comunita' esterna e non solo come derivato della
detenzione. Va peraltro ricordato che sono stati descritti casi di trasmissione o focolai epidemici di infezioni da HIV e di HBV in ambiente carcerario.

Non sono disponibili invece dati sull'incidenza di infezioni da HIV avvenute nelle carceri Italiane. In uno studio britannico l'incidenza e' risultata del 0,41% per anno di detenzione. Studi condotti dai Centers for Diseases Control and prevention (CDC) nel 2009 , con test volontari all'ingresso ed alla scarcerazione, hanno rilevato un tasso del 1,9% per anno, con la trasmissione sessuale come fattore principale di rischio ed uso di droghe e tatuaggi come fattore di minore rilevanza.
Per riassumere quanto sopra esposto, sebbene i rapporti sessuali, i tatuaggi e gli scambi di siringhe siano pratiche non infrequenti in ambito penitenziario sarebbe importante avviare seri programmi di prevenzione e di riduzione del danno all'interno delle strutture penitenziarie, cosi' come avviene negli altri paesi europei. E' da ricordare inoltre che i tassi di nuove infezioni virali sembrerebbero contenuti, tanto che il rischio di infezione risulta maggiore in coloro che hanno passato piu' tempo nella comunita' esterna rispetto ai detenuti continuativamente reclusi. In particolare, nonostante che il rischio di infezione nelle persone che consumano sostanze
stupefacenti per via iniettiva o comunque affetti da tossicodipendenza tenda ad aumentare in misura proporzionale al numero delle carcerazioni, la probabilita' di infettarsi non dipenderebbe dal numero e dalla durata degli eventi detentivi quanto dai comportamenti adottati nei periodi di liberta'. L'elevato numero
di detenzioni, quindi, sarebbe un indicatore di rischio per l'acquisizione dell'infezione da HIV in quanto indicatore surrogato di comportamenti a rischio protratti. Anche l'osservato aumento del rischio di infezione nelle partner sessuali di persone con storia di carcerazione sarebbe da interpretare in questo senso non come
conseguenza diretta della carcerazione stessa.

L'ambito penitenziario, peraltro, appare estremamente peculiare per quanto riguarda la diffusione di altre infezioni, in particolare quando queste si' associano a quella da HIV.
Per quanto concerne i virus epatitici a trasmissione parenterale o sessuale, la prevalenza attesa in ambito penitenziario e' sicuramente elevata, sempre come conseguenza dei fattori comportamentali caratterizzanti ampie fasce di detenuti. Non sono attualmente disponibili dati ufficiali nazionali sulla prevalenza di infezione da HBV o HCV nei penitenziari italiani, ma i dati di letteratura riferiti ad altri paesi occidentali indicano un'elevata diffusione di HCV soprattutto fra i tossicodipendenti, con prevalenze di
positivita' per marcatori di HBV superiori a quelle riscontrate nell'ambiente esterno. I risultati ottenuti nell'ambito del gia' citato studio siero-epidemiologico in 14 Istituti penitenziari italiani, hanno indicato che nei 1.620 detenuti esaminati il tasso di esecuzione dei test per HBV e HCV e' stato rispettivamente del 56,2% e del 56,9%; la sieroprevalenza e' stata del 8,6% per HBsAg, del 26% per HBsAb, e del 37,9% per anti-HCV. Una tossicodipendenza per via venosa era presente nell'anamnesi del 42,3% dei detenuti HBsAg+ e del 73,9% di quelli anti-HCV+.
Gli stranieri sono risultati positivi per HBsAg nel 5,8% dei casi, per I-113cAb nel 18,9% e per e anti-HCV nel 16,9%. La coinfezione HIV/HCV viene riportata nel 58,6% dei pazienti
detenuti anti-HIV positivi noti, mentre il tasso di prevalenza HBsAg positivi e' del 10,2%.
La circolazione del virus dell'epatite A, invece, non e' stata fino ad oggi verificata all'interno delle comunita' penitenziarie italiane, neanche come segnalazione di singoli focolai epidemici; la conoscenza dei tassi di prevalenza intramurari di HAV potrebbe fornire informazioni utili sul grado di igienizzazione delle strutture penitenziarie.
Le basi razionali per decidere sull'effettuazione di campagne vaccinali per l'epatite A e per l'epatite B all'interno delle strutture penitenziarie.
L'elevata potenziale contagiosita' all'interno delle comunita' confinate residenziali, insieme al costante incremento di detenuti stranieri, ha indotto l'Amministrazione Penitenziaria ad una verifica della diffusione di Mycobacterium tuberculosis. Uno studio condotto dal D.A.P. negli anni 1998-1999 ha consentito di praticare
l'intradermoreazione secondo Mantoux con PPD 1 U.I. nel 20,4% dei 184.702 nuovi giunti nel Sistema Penitenziario Italiano nei periodo.
La cutiprevalenza rilevata e' stata del 24,1%, rispetto ad un dato nazionale generale contenuto entro il 3-4%.

Nella popolazione detenuta femminile la diffusione di Malattie Sessualmente Trasmesse appare superiore a quanto rilevabile nella popolazione generale. Anche nella popolazione maschile, sia per i comportamenti adottati durante la liberta' che per l'eventuale attivita' sessuale durante la carcerazione, il rischio di MST puo' essere elevato, ma non si dispone di' dati che consentano di formulare stime del fenomeno.

3. GESTIONE

La diffusione dell'infezione da HIV in ambito carcerario costituisce ancora oggi un problema critico di sanita' pubblica, di cui sia il Sistema Penitenziario, sia il Servizio Sanitario Nazionale devono farsi carico, ciascuno per la parte di competenza. Col trasferimento di tutte le funzioni sanitarie dall'Amministrazione della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale, sancito dal DPCM 1 aprile 2008, la responsabilita' degli interventi a tutela della salute in ambito penitenziario e della giustizia minorile e' affidata alle ASL. Le "Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio Sanitario Nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale" (Allegato A, parte integrante del DPCM, che costituisce documento programmatico per le Regioni e le ASL per l'organizzazione sanitaria nelle carceri e nei servizi minorili), fanno esplicito riferimento agli interventi di prevenzione, diagnosi e cura delle infezioni HIV, HBV e HCV.
In tale nuovo contesto deve essere garantita una serie di azioni volte a superare i principali problemi e le attuali disomogeneita' nella assistenza e cura della persona sieropositiva per HIV.
Nello specifico, l'assistenza dei detenuti con infezione da HIV puo' essere guidata dalle Unita' Operative di malattie infettive del territorio dove insiste ogni singolo istituto Penitenziario, salvaguardando e valorizzando contestualmente le competenze e le professionalita' infettivologiche gia' operanti in tale ambito; parallelamente, dovra' essere garantita da tutte le Regioni omogeneamente in tutte le strutture di pena in cui sono presenti soggetti con infezione HIV, la costante fornitura dei farmaci antiretrovirali utilizzati nella terapia anti-HIV/AIDS.
Un obiettivo perseguibile appare la gestione dei detenuto sieropositivo per HIV non piu' da parte di un singolo, ma da un'equipe di professionisti medici ed infermieri. Fra questi saranno compresi sia coloro che assumono quotidianamente la responsabilita' clinica dei singolo paziente detenuto, sia i Consulenti Specialisti a
cui compete la definizione di percorsi diagnostici e terapeutici, sulla base delle indicazioni di linee guida internazionali.
L'intervento in equipe garantisce inoltre una piu' corretta applicazione dei criteri normanti la compatibilita' delle condizioni del detenuto con il regime carcerario e l'eventuale revisione degli stessi in base all'evoluzione dell'epidemia o delle conoscenze mediche. In considerazione quindi, della complessita' dell'intervento e della numerosita' dei professionisti impiegati nel settore ed al fine di coordinare le diverse azioni programmate, si ritiene necessario ricomprendere queste azioni nell'ambito delle Unita'
Operative di medicina penitenziaria o comunque denominate e gia' previste nell'alt. 'C' al DPCM del 1 aprile 2008 ("Indicazioni sui Modelli Organizzativi") includendo le competenze indicate nell'art. 118 del DPR 309/90.
E', inoltre, necessario che le Regioni e le Aziende sanitarie, in collaborazione con l'Amministrazione della Giustizia, assicurino interventi di educazione sanitaria rivolta ai detenuti sani e corsi di aggiornamento professionale rivolti a tutto il personale sanitario interno agli istituti, coinvolgendo anche gli Agenti di Polizia Penitenziaria, gli Educatori ed i Volontari operanti a qualsiasi titolo.

4. INTERVENTI INFORMATIVI E DI PREVENZIONE

Per tutti i detenuti ed internati, siano essi maggiorenni o minori, devono essere organizzati interventi d'informazione nei singoli istituti penitenziari e nei servizi minorili orientati ad una informazione completa sull'infezione da HIV/AIDS e sulle altre malattie trasmissibili e, in particolare, sul rischio della convivenza in un ambiente confinato e di alcuni comportamenti quali i rapporti sessuali non protetti, l'utilizzo e lo scambio di siringhe usate e i tatuaggi. In tutti i casi, una giusta attenzione deve essere posta nell'uso di un linguaggio che risulti semplice, appropriato e comprensibile, adeguato alla tipologia degli interlocutori in modo che venga favorita la corretta trasmissione dei messaggi.
L'impiego di mediatori culturali appare auspicabile per il counselling rivolto ai detenuti stranieri. In alternativa, nelle situazioni sicuramente molto frequenti di carenza di risorse per l'impiego dei mediatori, e' auspicabile la formazione specifica di detenuti stranieri, con pena residua di medio-lungo termine, in modo da essere utilizzati da "mediatori interni tra pari" per i nuovi detenuti stranieri con difficolta' di lingua.
In conclusione si ritiene opportuno che una proposta attiva per l'attuazione del test per HIV nelle persone (sia adulti che minori) alla prima detenzione o che non abbiano attuato i test nelle detenzioni precedenti vada in ogni caso preceduta da un colloquio informativo che tenga conto, per gli stranieri delle necessarie mediazioni culturali e che chiarisca il diritto dell'interessato a declinare l'offerta senza che cio' pregiudichi l'accesso ad altre diagnostiche o alle cure, ne' comprometta in nessun caso la sua
relazione con l'istituzione carceraria.

5. INTERVENTI DIAGNOSTICI E CLINICI

Gli aspetti diagnostici e clinici dei pazienti HIV sieropositivi, ovviamente, non differiscono nelle comunita' chiuse penitenziarie daquanto avviene nei centri di riferimento esterni. Insieme alla gia'ricordata maggiore sensibilita' necessaria nel rapporto medico-paziente ed alla corretta attuazione di un counselling specifico e reiterato nel tempo, una maggiore attenzione deve pero' essere posta sul decorso di altre infezioni spesso concomitanti ad HIV. In questo senso, un aspetto determinante per il controllo delle
infezioni ed in particolare di HIV nell'ambito penitenziario, assume l'offerta e l'esecuzione degli screening d'ingresso del detenuto in carcere.
Ad oggi, una offerta convincente dei test appare sostenuta in modo disomogeneo e solo in alcune realta'.
Appare indispensabile implementare drasticamente l'offerta del test di screening per HIV il cui livello di esecuzione, per produrre risultati veritieri, deve essere portato ad oltre 1'80% dei nuovi ingressi, indipendentemente dagli eventuali comportamenti a rischio agiti dal detenuto. L'offerta del test, che e' obbligo anche etico dei Responsabili Medici delle UU.00. sanitarie del carcere deve essere opportunamente fatta ed eventualmente reiterata al singolo detenuto dopo un periodo di tempo sufficientemente lungo a fargli superare il trauma da ingresso. Contestualmente, appare egualmente necessaria l'acquisizione delle informazioni basali sulle co-infezioni con HBV, HCV, Tubercolosi, Lue ed altre MST.
Dopo aver completato la caratterizzazione sierologica basale del singolo paziente, mantenendo costante il flusso informativo proprio di un counselling specifico ben strutturato, si entra nella fase di caratterizzazione specialistica del paziente detenuto risultato sieropositivo per HIV con o senza ulteriori co-infezioni.
Il percorso diagnostico all'interno dell'istituzione carceraria non richiede provvedimenti aggiuntivi rispetto a quello seguito negli ambulatori delle U.O. territoriali di Malattie Infettive. Conoscendo i dati epidemiologici sulle infezioni in tale contesto, sara' necessaria la ricerca particolarmente accurata delle possibili co-infezioni con HBV, HCV e per la presenza di tubercolosi attiva e di sifilide attiva o latente.
Il monitoraggio della conta dei CD4+ e della viremia deve seguire i criteri indicati nelle linee guida per tutti i pazienti con infezione da HIV.
Poiche' il controllo periodico dei linfociti CD4+, consente generalmente di attrarre l'attenzione dei pazienti detenuti anche piu' disinteressati alla propria malattia, soprattutto nel caso di conte in costante decremento, puo' essere valutata l'opportunita' di praticarla ad intervalli piu' brevi di quanto previsto dalle stesse.
La frequenza dell'abuso di alcol, psicofarmaci e stupefacenti in caso di violazione dei filtri di controllo, rende opportuno inserire nella diagnostica di controllo dei pazienti in terapia anche altri parametri di controllo, quali quelli emocromocitometrici, epatici, pancreatici e renali. In ambiente penitenziario, infatti, la proporzione di eventi avversi e' risultato piu' frequente rispetto all'esterno e non e' infrequente l'interruzione o il fallimento della terapia antiretrovirale per interazioni tra farmaci antiretrovirali e
sostanze d'abuso o per intolleranza alle stesse.

6. COUNSELLING PER I SOGGETTI SIEROPOSITIVI

Il detenuto sieropositivo per HIV e' spesso una persona che somma al profondo malessere, dovuto alla carcerazione, la paura suscitata da una malattia potenzialmente mortale e contagiosa, l'etichetta di una diversita' imposta o soggettivamente percepita. Ne consegue una soggettivita' spesso particolarmente fragile, anche se talvolta con
atteggiamenti aggressivi, caratterizzata da profonde incertezze e notevoli difficolta' nel programmare ii proprio futuro anche a breve termine, e rese ancora piu' insicure da eventuali difficili rapporti con le istituzioni.
L'informazione sanitaria ed il counselling di un detenuto sieropositivo e quasi sempre tossicodipendente, deve avvalersi quindi di' operatori formati e motivati.
Per il detenuto HIV sieropositivo e' necessario un intervento di counselling approfondito, reiterato nel tempo e mirato alle condizioni individuali, che e' competenza dello specialista infettivologo, con l'integrazione, in assenza e in caso di necessita', del medico incaricato penitenziario.
Nella pratica e' consigliabile articolare l'intervento finalizzandolo a:

•- guadagnare l'attenzione del paziente con argomentazioni tecniche che trovino pero' un rapido riscontro nella sua realta' quotidiana, quali i rapporti sessuali, le possibili vie attraverso le quali potrebbe essersi trasmessa l'infezione, se tossicodipendente i tipi di stupefacenti utilizzati con le vie di somministrazione e le tecniche di preparazione e di taglio. La naturalezza della discussione, senza colpevolizzare e ponendosi esclusivamente nella posizione di chi ha molte informazioni da fornire, la capacita' di adeguare il proprio linguaggio alle caratteristiche dell'individuo, sono tutti elementi di grande ausilio in questa prima fase di contatto con il nuovo paziente;
•- spiegare con precisione e con la massima semplicita' e comprensibilita' l'evoluzione della malattia, in particolare gli eventi biologici che sono stati dimostrati avvenire nel periodo asintomatico, nonche' cosa e' cambiato oggi nella gestione medica della malattia grazie alle terapie antiretrovirali disponibili, dove queste agiscono e quali vantaggi garantiscono;
•- cercare di rimuovere il rifiuto da molti opposto verso la malattia e, sopratutto, verso le terapie. Su questo aspetto l'ambiente penitenziario gioca un ruolo fondamentale; per molti detenuti l'assumere i farmaci antiretrovirali significa rendere visibile ai propri compagni, che possono assistere alla distribuzione dei
farmaci, la propria condizione di sieroposivita'; per altri l'assunzione della terapia e' il doloroso momento in cui gli viene ricordato di essere malato. E' fondamentale riuscire a far comprendere che il silenzio clinico dell'infezione non corrisponde assolutamente ad una inattivita' della stessa. Se si riesce a far
comprendere la dinamica della malattia e se si riesce a creare le condizioni per una buona compliance alla cura allora sara' possibile effettuare sia controlli seriali che ottenere l'aderenza alle terapie;
•- garantire il rispetto delle regole stabilite ed evitare di fare promesse che non possono essere mantenute; in questa fase e' necessario essere equilibrati perche' la credibilita' e l'autorevolezza dell'operatore devono mantenersi nel tempo affinche' l'intervento mantenga la sua efficacia. II "contratto" di reciproca fiducia che si stipula con il paziente/detenuto non puo' che contenere garanzie di assistenza, piu' che vantaggi ambientali rispetto agli altri compagni;
•- mantenere sullo stesso livello il rapporto stabilito per tutto il periodo in cui il paziente rimane detenuto, gettando le basi perche' possa proseguire al termine della pena presso il centro specialistico di riferimento della zona.
•- favorire, utilizzando la crescita del rapporto medico-paziente, l'accettazione e il rapporto con gli altri operatori penitenziari con cui interagisce il paziente-detenuto;
In ultima analisi, e' possibile affermare che il counselling ai detenuti con infezione da HIV deve avere come obiettivo primario ed esplicito l'informazione ragionata delle fasi della malattia, fino alla sua consapevole accettazione ed alla formazione di una coscienza realistica e responsabile del problema.

7. INTERVENTI TERAPEUTICI

La disponibilita' di tutti i farmaci antiretrovirali necessari per l'effettuazione della terapia antiretrovirale altamente attiva [HAART] deve essere assicurata ai' pazienti detenuti in tutti gli istituti penitenziari Italiani-in cui sono presenti soggetti con infezione HIV.
La terapia anti-HIV ha rappresentato e rappresenta un punto critico della tutela della salute in carcere; ai problemi di approvvigionamento dei farmaci, infatti, si sono sovrapposti da sempre numerosi fattori ostativi, quali i numerosi trasferimenti da istituto a istituto per motivi di giustizia ovvero disciplinari, la disomogeneita' nella qualita' dell'informazione associata all'offerta terapeutica, la non completa disponibilita' degli esami di laboratorio utili al monitoraggio clinico, le carenze di personale
sanitario e di polizia penitenziaria, le conflittualita' interne ad ogni comunita' confinata, l'atteggiamento dei singoli detenuti fino alla negazione della malattia.

La disponibilita' della terapia antiretrovirale negli Istituti Penitenziari ha oggi condotto ad una drastica riduzione delle nuove diagnosi di AIDS e delle morti correlate, sia in Italia che in altri paesi. L'assunzione delle terapie antiretrovirali sembra ancora oggi piu' bassa nei pazienti detenuti rispetto a quelli liberi.
Non risultano disponibili dati piu' recenti, anche a causa del trasferimento delle competenze alle ASL, che ha comportato per il momento un arresto dei flussi centralizzati di informazione.
Le difficolta' di assunzione della terapia antiretrovirale in carcere, riportate in nord America ed Europa sono rappresentate principalmente da problemi di scarsa aderenza. Inoltre, la continuita' terapeutica e' ostacolata, almeno in Italia, da trasferimenti da un Istituto Penitenziario all'altro e dal rilascio dei detenuti HIV positivi che spesso non si rivolgono, dopo la scarcerazione, alle strutture sanitarie esterne.
Numerose segnalazioni, eseguite sia in Italia che negli Stati Uniti hanno inequivocabilmente dimostrato il significativo vantaggio della terapia direttamente osservata (DOT) rispetto alle schedule di auto-somministrazione. I dati della letteratura indicano che l'incremento di HIV-RNA soppresso e' >20% con la DOT sia in controlli intramurari che in controlli liberi attendibili, rendendo tale strategia particolarmente raccomandabile in questo ambito. Questa opzione appare uno strumento particolarmente valido soprattutto se associato ad uno specifico programma di counselling ed educazione sanitaria, finalizzato a restituire al termine della detenzione alla comunita' libera pazienti consapevoli e convinti delle terapie che assumono.
Anche se nell'ordinamento penitenziario italiano e' da alcuni anni prevista la possibilita', offrendo ogni garanzia di legge ai detenuti, di utilizzare in tale ambito farmaci sperimentali, non risultano fino ad oggi avviati studi specifici sui detenuti, pur ritenendo necessario stabilire regole specifiche; la normativa, peraltro, garantisce la possibilita' di introdurre ed utilizzare nei singoli istituti farmaci antiretrovirali non ancora commercializzati disponibili nei centri specialistici esterni all'interno di programmi di accessi allargati. Tale opportunita' appare fondamentale sia per i pazienti che vengono arrestati durante una terapia basata sull'utilizzo di tali farmaci, garantendo loro in tal modo la
possibilita' della prosecuzione in carcere, sia per i pazienti gia' detenuti che risultassero plurifalliti e multiresistenti alle diverse classi di farmaci antiretrovirali.

8. CONCLUSIONI ED INDICAZIONI OPERATIVE

Gli interventi sopra delineati, necessari alla gestione delle problematiche dell'infezione HIV e delle principali malattie infettive nel contesto detentivo, possono essere riassunti come di seguito, anche in considerazione dell'avvenuta presa in carico della sanita' penitenziaria da parte del S.S.N.
• garantire e valorizzare interventi stabili e continuativi di consulenza infettivologica e multiprofessionale in tutti gli istituti di pena;
• implementare un'offerta convincente e, se necessario, reiterata del test di screening HIV, fino ad ottenere un tasso di esecuzione almeno del 60% in ogni Istituto;
• fornire ai detenuti ed internati con accertata sieropositivita' livelli diagnostici non inferiori a quelli offerti esternamente;
• offrire terapie ARV a tutti coloro che ne necessitano secondo le linee guida internazionali;
• garantire a tutti i pazienti in terapia la distribuzione dei farmaci agli orari prescritti ed i controlli ematochimici, virologici ed immunologici ai tempi richiesti;
• garantire un costante rapporto medico-paziente, con couselling specialistico continuativo teso al miglioramento dell'adesione alle terapia;
• garantire la continuita' terapeutica sia ai detenuti ed internati in entrata che a quelli in uscita ovvero in trasferimento verso altri Istituti;
• garantire che quando il medico ravvisi condizioni di salute incompatibili con il regime penitenziario, si attivi senza indugio, affinche' il caso sia sottoposto all'Autorita' giudiziaria competente per le determinazioni conseguenti, in conformita' alla normativa vigente;
• un'adeguata formazione per tutto il personale penitenziario che gravita nell'ambito sanitario, inclusi Agenti di Polizia Penitenziaria, Educatori e Volontari;
• consapevolezza da parte degli organi sanitari responsabili della salute in carcere che ogni politica od interventi di "riduzione del danno", devono essere applicati in un contesto sanitario orientato alla cura, alla riabilitazione ed al reinserimento delle persone, pena il fallimento dell'effetto preventivo.
• Garantire Misure ed azioni concrete per la Prevenzione delle Patologie Correlate all'uso di sostanze stupefacenti in carcere, alle pratiche sessuali, ai tatuaggi, ecc. (contatto precoce e mirato con adeguate informazioni, estesa disponibilita' di farmaci sostitutivi, programmi di screenings calibrati per durata di detenzione, offerta attiva di contact-tracing e partner notification, campagne vaccinali, programmi mirati alle differenze di genere, ecc.) anche attraverso procedure sperimentali.
• adeguate campagne di prevenzione per tutto il personale;
• interventi di educazione sanitaria rivolti alla popolazione detenuta ed internata, per prevenire e ridurre i rischi di acquisizione delle malattie virali croniche e trasmissibili in tale ambito, privilegiando possibilmente la trasmissione delle informazioni "tra pari" ed utilizzando, ove necessario, l'impiego di mediatori culturali adeguatamente ed appositamente formati.
• Garanzia di richiesta di consenso informato ed anonimato qualora desiderato, in accordo con l'Ordinamento Penitenziario.


http://www.npsitalia.net/article2864.html