00 10/10/2010 18:05
Proteina P17
I danni maggiori, nei malati in terapia con antiretrovirali, il virus dell’Hiv li fa attraverso alcune proteine che riesce a rilasciare nell’organismo ospite anche quando la replicazione è bloccata dai farmaci.



Una di queste – la più pericolosa perché in grado di indebolire potentemente il sistema immunitario – si chiama p17, e contro di essa (o, meglio, contro la sua porzione attiva) è diretto il nuovo vaccino terapeutico in sperimentazione su 36 pazienti in quattro centri ospedalieri italiani (Brescia, Torino, Milano e Perugia), presentato in questi giorni a Tropea, al XII meeting internazionale sull’Hiv.

Spiega Arnaldo Caruso, direttore della Sezione di microbiologia clinica dell’Università di Brescia e responsabile scientifico del progetto: «Per la prima volta si sperimenta nell’uomo un vaccino terapeutico, studiato cioè non per prevenire l’infezione, ma per risvegliare il sistema immunitario affinché sia esso stesso a reagire contro il virus, analogamente a quanto si sta facendo in oncologia».

Ma i malati di Aids non sono malati come gli altri, proprio perché il loro sistema immunitario può essere già molto indebolito e non avere la forza per attivarsi neppure dopo una stimolazione quale quella del vaccino terapeutico. Ecco allora che i ricercatori delle università coinvolte, insieme a quelli di Medestea, l’azienda che produrrà il vaccino, hanno pensato a una strategia di rinforzo: l’utilizzo di un anticorpo monoclonale da somministrare prima, in caso di necessità.

Spiega ancora Caruso: «In alcuni pazienti la p17 ha già fatto troppi danni, e il vaccino non riesce a funzionare. Per questo abbiamo pensato di bloccarla con un monoclonale specifico, e di vedere poi se il sistema immunitario, una volta tolta di mezzo la proteina esistente, riesce a lavorare in maniera adeguata contro quella che viene via via rilasciata dal virus».

Stando a quanto ottenuto in vitro e negli animali, la strada intrapresa sembra quella giusta: per i pazienti con una malattia molto avanzata, il monoclonale potrebbe quindi costituire una sorta di preparazione al vaccino il quale, a sua volta, dovrebbe permettere all’organismo di combattere gli effetti più devastanti della nuova p17 sul sistema immunitario, che poi sono quelli che molto spesso causano la morte perché aprono la via a infezioni, tumori e demenza.

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