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AREA LEGALE SIEROPOSITIVO.IT : INFORMAZIONI ERRATE SULLA SENTENZA 218/94

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    harrypotter79
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    00 13/11/2010 21:46
    Leggo al seguente Link una baggianata senza precedenti!

    www.sieropositivo.it/parla-con-lesperto/area-legale/domande/27-opinione-sulla-sentenza-della-corte-costituzionale-218...

    Per l'Avvocato che ha scritto la "baggianata" e per tutte le persone che vogliono sapere il contenuto, la valenza della Sentenza Corte Cost. n.218/94 rivolgersi a NPS Italia Onlus.


    La sentenza 218/94 NON ha modificato la L. 135/90 (artt. 5 e 6).
    La sentenza ha valore solo per il caso e rinviava al Parlamento.

    Ad oggi il Parlamento non e' mai intervenuto.

    Gli articoli 5 e 6 della L. 135/90 non sono in discussione.


    [SM=x1912622]

    Ma dove li trovano questi avvocati?

    [Modificato da harrypotter79 13/11/2010 21:55]
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    harrypotter79
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    00 13/11/2010 21:49
    Con esplicito riferimento ai seguenti riferimenti normativi:
    - Costituzione Italiana (Art. 32, comma 2);
    - Legge nr. 135/90 (Artt. 5 e 6);
    - Legge nr. 359/90 (Art. 15, comma 3);
    - Sentenza Cass. Pen. , Sez III, n. 43/98;
    - D.lgs nr. 196/2003;
    - D.M. nr. 203/2006;
    - Totalità dei Provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali e sensibili, in materia di dati necessità, liceita’ e pertinenza nel trattamento di dati “ultra-sensibili” (nello specifico diagnosi di “infezione da HIV”);



    TENUTO DEBITAMENTE CONTO CHE:
    - In base all’articolo 32, comma 2, della Costituzione italiana "nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge".

    - In base all’ Articolo 5 della Legge 135/90 la rilevazione dell’infezione da HIV deve essere effettuata con modalità che non consentano l’identificazione della persona. Nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l'infezione da HIV se non per motivi di necessità clinica nel suo interesse. Sono consentite analisi di accertamento di infezione da HIV, nell'ambito di programmi epidemiologici, soltanto quando i campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilità di pervenire alla identificazione delle persone interessate. La comunicazione di risultati di accertamenti diagnostici diretti o indiretti per infezione da HIV può essere data esclusivamente alla persona cui tali esami sono riferiti. L'accertata infezione da HIV non può costituire motivo di discriminazione, in particolare per l'iscrizione alla scuola, per lo svolgimento di attività sportive, per l'accesso o il mantenimento di posti di lavoro.

    - In base all’articolo 6 della Legge 135/90 è vietato ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo svolgimento di indagini volte ad accertare nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l'instaurazione di un rapporto di lavoro l'esistenza di uno stato di sieropositività. Alle violazioni di tali disposizioni si applica il sistema sanzionatorio previsto dall'Art. 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300.

    - In base all’articolo 15, comma 3, della Legge 359/90 nessun provvedimento può essere preso nei confronti di chi abbia rifiutato di sottoporsi agli accertamenti per la ricerca di anticorpi HIV o di chi, sulla base di tali accertamenti, sia risultato essere sieropositivo.

    - Nel 1994 (sentenza n. 218) si è espressa la Corte Costituzionale suggerendo che, qualora alcune attività lavorative o mansioni dovessero comportare rischi di trasmissione dell’infezione verso terzi (in particolare questa ipotesi nasceva da un caso relativo ad attività in ambito sanitario) “dovrebbe” essere prevista la possibilità del datore di lavoro di richiedere all’interessato l’esecuzione del test, ciò perché l’interesse per la salute collettiva e la sua tutela, in base alle conoscenze medico-scientifiche dell’epoca, superava i diritti del singolo. Questa sentenza di fatto demandava al Legislatore il compito di individuare le eventuali mansioni che possono esporre terzi a contrarre l’infezione da HIV e rispetto alle quali prevedere l’esecuzione del test. Ad oggi il Parlamento non si e’ mai espresso in tal senso.
    - La Corte Costituzionale con la sentenza 218 del 1994 ha evitato di pronunciarsi sulla questione di costituzionalità dell’art. 6, l. n. 135/90, lasciando immutata la disciplina del “divieto per i datori di lavoro”. E, a conferma di ciò, la stessa Cassazione penale, sez. III, nella sentenza 8 gennaio 1998, n.43, ha statuito che costituisce il reato di cui all’art. 6, l. n. 135/90, e sono puniti a norma dell’art. 38 St. lav., il datore di lavoro e a titolo di concorso il medico che sottopongano all’esame per la ricerca della sieropositività lavoratori dipendenti o persone prese in considerazione per l’instaurazione di un rapporto di lavoro. Che la conseguenza di questa sentenza possa essere quella di screening di massa è espressamente negato dalla Corte. Ma anche il rischio di screening di categoria, sul paradigma della legge 30 novembre 1990, n. 359, sull’aumento dell’organico del personale appartenente alle Forze di Polizia, sembra essere sventato. Infatti, il legislatore non è intervenuto con un provvedimento legislativo che li renda possibili ex art. 32, comma 2, Cost. In definitiva, il monito della Corte si limita alla necessità “di tutelare la salute dei terzi in ogni settore nel quale esista per essi un serio rischio di contagio, trasmissibile da chi svolga un’attività loro diretta”.

    - Già nel Marzo ‘94 la Commissione Nazionale AIDS del Ministero della Sanità, ha approvato un documento che derime ogni dubbio e nel quale viene specificato che "sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili sulle modalità di trasmissione dell’HIV non è giustificato, anzi sembra irragionevole, prevedere l’obbligatorietà di screening per l’HIV per gli operatori, anche del comparto sanitario". La Commissione Nazionale per la lotta contro l’AIDS nel parere reso in relazione all’eccezione di incostituzionalità degli artt. 5 e 6, l. n. 135/90, proposta dal Pretore di Padova, ha effettuato una disamina dello stato delle conoscenze sulla trasmissione dell’infezione da HIV, allo scopo di evidenziare quale sia il fondamento tecnico-scientifico delle disposizioni che non consentono l’esecuzione obbligatoria del test per l’accertamento dell’infezione da HIV. La Commissione ha sostenuto che seguendo le raccomandazioni dei Center for Diseases Control and Prevention statunitensi per la prevenzione della trasmissione del virus della immunodeficienza umana (HIV), che si basano sul rispetto delle precauzioni universali, pur in un settore particolarmente a rischio qual è quello sanitario, il rischio di infezione occupazionale può considerarsi solo ipotetico. Ed ancora, la Commissione, ha ricordato come la disciplina che è stata emanata nel nostro paese, in coerenza con gli indirizzi delineati con D.M. 28 settembre 1990, ha definito l’insieme delle norme di protezione, tanto per gli operatori delle strutture sanitarie che per quelli delle strutture assistenziali, sia pubbliche che private, con criteri di sistematicità e generalità per i diversi settori e ha rimarcato come le precauzioni previste sono da ritenere adeguate tanto per la protezione degli operatori che per quelle delle persone assistite, concludendo che “sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili sulle modalità di trasmissione dell’HIV non è giustificato, anzi sembra irragionevole, prevedere l’obbligatorietà di screening per l’HIV per gli operatori sanitari ed altre categorie professionali”. Risulta superata, dunque, sulla scorta di valutazioni medico-scientifiche, imprescindibili per il corretto inquadramento della questione dei rischi di contagio e della loro ricorrenza in concreto, la questione della tutela dei terzi, inquadrandola in un contesto di politica di prevenzione, per altro in linea con le indicazioni successivamente elaborate dall’ILO che ha prodotto nel 2001 un codice di condotta nei luoghi di lavoro per la prevenzione del contagio da HIV. La politica di prevenzione e non di controllo è, infatti, la risposta all’esigenza di bilanciamento degli interessi, risposta che garantisce al contempo l’interesse del singolo alla tutela della privacy e a non subire discriminazioni, e l’interesse della collettività a vedersi tutelata dal contagio, proprio in quanto siamo in presenza di una malattia comportamentale. Essendo specifiche le sue modalità di trasmissione, i rischi della stessa sono strettamente collegati a comportamenti personali, specifici e non casuali, normalmente non ricorrenti nei luoghi di lavoro.


    - All’esigenza di tutela dal rischio del contagio ha risposto il legislatore con il decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626, in materia di prevenzione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Com’è noto, tale decreto prevede misure generali di tutela volte alla valutazione dei rischi per la salute e sicurezza e alla loro eliminazione in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò non sia possibile, alla loro riduzione al minimo. In particolare viene in evidenza l’obbligo di informazione e formazione sui rischi e sulle misure di sicurezza previsto dagli artt. 21 e 22 del decreto, che sembra essere uno strumento privilegiato di strategia prevenzionale. Ne deriva che il datore di lavoro ha l’obbligo di assumere le concrete misure prevenzionali in relazione alla rilevanza, alla specificità e alla attualità del rischio da contagio del virus HIV.

    - In Italia attualmente, in nessun ambito, può essere prevista l’esecuzione obbligatoria del test per HIV per accedere o mantenere un posto di lavoro (esiste un’unica eccezione espressamente prevista da un atto legislativo – la succitata L. n. 359/90 - che riguarda le Forze dell’Ordine che comunque non pone vincoli per l’assunzione o il mantenimento del posto di lavoro quanto rispetto allo svolgimento di mansioni che possano esporre a rischio terzi). In ogni caso, comunque, nessuno può essere licenziato o non assunto solamente in quanto sieropositivo.
    - la stessa Cassazione penale, sez. III, nella sentenza 8 gennaio 1998, n.43, ha statuito che costituisce il reato di cui all’art. 6, l. n. 135/90, e sono puniti a norma dell’art. 38 St. lav., il datore di lavoro e a titolo di concorso il medico che sottopongano all’esame per la ricerca della sieropositività lavoratori dipendenti o persone prese in considerazione per l’instaurazione di un rapporto di lavoro.

    - La raccolta dei dati relativi a soggetti sieropositivi e portatori di AIDS deve essere effettuata con maggior rigore e tutela della riservatezza rispetto agli altri dati personali. Questa è l’interpretazione fornita dal Garante per la protezione dei dati personali che ha, in più occasioni, ribadito che la legge sulla privacy non ha abrogato la legge 5 giugno 1990, n. 135, sull’AIDS. La legge sull’AIDS prevede, come già detto, il divieto di controlli sulla sieropositività a cui il soggetto non abbia consentito “se non per necessità clinica nel suo interesse”. Prevede poi, all’art. 6 il divieto assoluto di svolgere indagini in tal senso per il datore di lavoro.


    harry! [SM=g1855865]
    [Modificato da harrypotter79 13/11/2010 21:57]
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    harrypotter79
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    00 13/11/2010 21:53
    QUI RISPONDONO MEDICI DEL LAVORO:

    www.medicocompetente.it/forum/thread/3047/idoneita-infermiere-professio...

    [SM=g1855871]

    Sono sempre piu' dell'idea che se non avessi fatto lavorato nella sanita' ..avrei potuto fare l'Avvocato!

    [SM=x1912633]

    ...come si chiama quell'Associazione?

    SIEROPOSITIVO.IT?? [SM=g1855870]

    Gia'! [SM=g1855874]
    [Modificato da harrypotter79 13/11/2010 21:54]
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    NormaJ
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    [SM=x1856221]
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    NormaJ
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    00 13/11/2010 22:12
    GINEVRA (Notizie dall’ILO) – I rappresentanti di governi, datori di lavoro e lavoratori presenti alla conferenza annuale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) hanno adottato oggi una nuova norma internazionale del lavoro sull’HIV/AIDS che costituisce il primo strumento internazionale per i diritti umani dedicato specificatamente a questo tema nel mondo del lavoro.

    La nuova norma è stata adottata dai delegati alla Conferenza Internazionale del Lavoro con 439 voti a favore, 4 contrari e 11 astensioni, a seguito di due anni di dibattito intensi e costruttivi.

    La norma è il primo strumento giuridico adottato a livello internazionale volto a rafforzare il ruolo del mondo del lavoro nell’accesso universale alla prevenzione, al trattamento, alla cura e al sostegno all’HIV/AIDS; essa contiene disposizioni riguardo i programmi di prevenzione e le misure antidiscriminatorie a livello nazionale e aziendale. Inoltre, enfatizza l’importanza, per i lavoratori e le persone che convivono con l’HIV, dell’occupazione e delle attività generatrici di reddito, in particolare in termini di continuità dei trattamenti.

    La Conferenza ha, inoltre, adottato una risoluzione sulla promozione e attuazione della Raccomandazione, che invita il Consiglio d’Amministrazione dell’ILO ad allocare maggiori risorse per dare seguito alla nuova norma. La risoluzione chiede anche che sia istituito un Piano d’Azione Globale che ne garantisca un’ampia attuazione e preveda un resoconto periodico da parte degli Stati membri.

    La Dottoressa Sophia Kisting, Direttrice del Programma dell’ILO sull’HIV/AIDS e il mondo del lavoro ha dichiarato che “con questo nuovo strumento per i diritti umani possiamo sfruttare la forza del mondo del lavoro e ottimizzare gli interventi sui luoghi di lavoro per migliorare significativamente l’accesso ai servizi di prevenzione, trattamento, cura e assistenza. Non possiamo farcela da soli, ma questa nuova norma fornirà, io credo, un contributo fondamentale per realizzare il sogno di una generazione libera dall’AIDS”.

    La Signora Thembi Nene-Shezi, che ha presieduto le discussioni sulla norma in seno alla Commissione sull’HIV/AIDS, ha affermato “abbiamo a disposizione uno strumento che dovrebbe essere motivo di orgoglio per l’ILO e i suoi costituenti. Tuttavia non c’è tempo da perdere. Dobbiamo andare avanti e promuovere questa norma. L’impegno dei suoi ideatori – governi, datori di lavoro e lavoratori – sarà cruciale per lo sviluppo di politiche nazionali sul luogo di lavoro fondate sui diritti umani e orientate al superamento delle discriminazioni”.

    Il Vicepresidente per i datori di lavoro della Commissione sull’HIV/AIDS, Patrick Obath (Kenya), ha dichiarato che “la norma riguarda tutti e rafforza la lotta all’HIV/AIDS. La cosa più importante da fare adesso è attuare a livello nazionale politiche nei luoghi di lavoro per sostenere ciò che alcuni datori di lavoro stanno già facendo e rafforzare la risposta nazionale”.

    Il Vicepresidente per i lavoratori della Commissione sull’HIV/AIDS, Jan Sithole (Swaziland), ha affermato “siamo orgogliosi di avere tra le mani uno strumento internazionale senza precedenti per contrastare l’HIV/AIDS grazie al luogo di lavoro. Fino a quando non vi sarà una cura non avremo altra scelta se non utilizzare il contenuto di questo strumento ad ogni livello della società”.

    La nuova norma ha la forma di una Raccomandazione, una delle due tipologie di norme del lavoro che possono essere adottate dall’ILO. Nonostante si differenzi da una Convenzione in quanto non necessita di ratifica, secondo l’art. 19 della Costituzione dell’ILO una raccomandazione deve essere comunicata ai Parlamenti nazionali e deve essere discussa per quanto riguarda i termini della sua attuazione attraverso la legislazione e le politiche nazionali. La Raccomandazione amplia il Codice di Condotta sull’HIV/AIDS e il mondo del lavoro adottato nel 2001.

    Come per la maggior parte delle norme adottate dall’ILO, i suoi contenuti sono stati oggetto di una duplice discussione in seno alla Conferenza, la prima nel 2009 e la seconda nel 2010. Durante la discussione di quest’anno sono stati approvati degli emendamenti alla bozza di testo che hanno rafforzato le disposizioni previste in alcuni campi, in particolare l’uguaglianza di genere, la salute e i diritti riproduttivi, la protezione sociale, la salute e la sicurezza sul lavoro e le misure indirizzate a gruppi vulnerabili e marginalizzati come i lavoratori migranti e in transito. La Raccomandazione copre anche le forze armate, la polizia e i corpi di vigilanza.

    “La Raccomandazione non soltanto rappresenta un importante strumento per guidare l’azione dell’ILO e dei suoi costituenti, ma aumenterà il coordinamento all’interno della comunità internazionale sul tema dell’HIV/AIDS. Grazie a rigide disposizioni in materia di prevenzione e protezione sociale, la Raccomandazione rafforzerà il lavoro dell’ILO a sostegno delle dieci aree prioritarie previste dal programma delle Nazioni Unite UNAIDS”, ha aggiunto la Dottoressa Kisting.

    Lo strumento normativo definitivo si basa sui seguenti principi:

    * è necessario riconoscere che la risposta all’HIV/AIDS contribuisce alla realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali di ogni essere umano, compresi i lavoratori, le loro famiglie e le persone a loro carico;
    * è necessario riconoscere e considerare l’HIV/AIDS come una questione riguardante il posto di lavoro, da includere fra gli elementi essenziali della risposta nazionale, regionale e internazionale alla pandemia, con la piena partecipazione delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro;
    * non vi deve essere discriminazione o stigmatizzazione dei lavoratori, i particolare nei confronti di coloro che sono in cerca di lavoro o presentano domanda di impiego, in base alla loro reale o presunta sieropositività o al fatto che appartengano alla fascia di popolazione ritenuta maggiormente esposta o vulnerabile al rischio di infezione;
    * la prevenzione da tutte le modalità di trasmissione dell’HIV deve essere una priorità fondamentale;
    * i lavoratori, le loro famiglie e le persone a loro carico devono avere accesso ai servizi di prevenzione, trattamento, cura e sostegno all’HIV/AIDS, e il posto di lavoro deve facilitare l’accesso a questi servizi;
    * è necessario riconoscere e rafforzare la partecipazione e il coinvolgimento dei lavoratori nell’ideazione, attuazione e valutazione dei programmi nazionali e sul luogo di lavoro;
    * i lavoratori devono beneficiare di programmi per la prevenzione dei rischi specifici di trasmissione dell’HIV legati al luogo di lavoro e di altre malattie trasmissibili correlate, come la tubercolosi;
    * la privacy dei lavoratori, delle loro famiglie e delle persone a loro carico deve essere protetta, anche nel caso di confidenzialità relativa all’HIV/AIDS e in particolare riguardo al proprio stato di salute;
    * nessun lavoratore può essere obbligato a sottoporsi a un test dell’HIV o a dichiarare la propria sieropositività;
    * le misure per affrontare l’HIV/AIDS nel mondo del lavoro devono rientrare nei programmi e nelle politiche di sviluppo nazionale, comprese quelle relative a lavoro, educazione, protezione sociale e salute, e alla protezione dei lavoratori in occupazioni che sono particolarmente esposte al rischio di contagio da HIV.

    La norma proposta aveva già ricevuto il sostegno del programma UNAIDS e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità durante le discussioni in seno alla Conferenza.

    www.ilo.org/public/italian/region/eurpro/rome/info/press/cs...